Pubblicità comparativa illecita e pubblicità ingannevole: cosa dice la legge

palmigiano • mar 13, 2019

 

La pubblicità comparativa, ovvero quella che sfrutta il confronto con una o più marche concorrenti per promuovere un prodotto o un servizio, è ammessa in Italia da circa 20 anni.
Per la legge italiana e le norme Antitrust, fare pubblicità paragonando un brand, un prodotto o un servizio a quello dei competitor è lecito a condizione che il messaggio non induca il consumatore in errore o non danneggi in modo sleale le altre aziende coinvolte.

 

Prima della direttiva comunitaria 2006/114/CE, in Italia e in molti altri paesi dell’Unione Europea non c’era una distinzione netta tra pubblicità ingannevole e pubblicità comparativa illecita. La pubblicità ingannevole era infatti considerata un aggettivo di quella comparativa illecita, per cui non poteva esserci pubblicità ingannevole se non attraverso il confronto scorretto e iniquo di  prodotti e servizi.

È stata la Corte di Giustizia Europea a entrare nel merito della questione, stabilendo che la pubblicità ingannevole e quella illegittimamente comparativa sono due infrazioni autonome. È possibile quindi vietare e punire una pubblicità ingannevole anche quando non è di tipo comparativo.

 

Quando si può parlare di pubblicità ingannevole?

 

La pubblicità i ngannevole è quella che:

– induce consumatori e imprese in errore, influenzandone le decisioni attraverso informazioni false, omissioni, ambiguità o esagerazioni

– pregiudica il comportamento economico dei destinatari

– danneggia un concorrente in modo sleale .

 

L’ente competente in materia di pubblicità ingannevole è l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) . L’AGCM definisce quali sono i casi di pubblicità ingannevole ed interviene per interromperla.

Dal 2005, se un’azienda si rifiuta di correggere la pubblicità ritenuta ingannevole, rischia la sospensione dell’attività di impresa fino a 30 giorni.

 

Pubblicità comparativa illecita: in quali casi le aziende sono punibili dalla legge?

 

La pubblicità comparativa è corretta e inappuntabile quando un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti in modo oggettivo.

 

Il problema nasce proprio quando l’oggettività del confronto viene a mancare . Un messaggio pubblicitario viene etichettato come illecito e può essere sanzionato se:

 

– è presentato in modo tale da generare confusione tra le imprese

– scredita uno o più concorrenti

– distorce in modo sleale le dinamiche competitive.

 

Un caso tipico di pubblicità comparativa illecita, identificato proprio dalla Corte di Giustizia Europea, è quello in cui si confrontano prezzi, beni, prodotti o servizi di imprese di diverse dimensioni .
Un confronto di questo tipo può essere fuorviante per il consumatore e sviare i clienti verso il concorrente sleale.

 

Pubblicità ingannevole e pubblicità comparativa illecita sono punibili anche online?

 

La risposta è sì: le regole sull’oggettività del confronto nei messaggi pubblicitari e il divieto di pubblicità ingannevole devono essere rispettati anche su Internet.

I nuovi strumenti pubblicitari online, come le campagne pay-per-click, usano spesso la leva della comparazione, che deve essere sempre corretta e leale.

Anche i cosiddetti social influencer, ovvero quegli utenti dei social network con molti follower pagati dalle aziende per diffondere messaggi sponsorizzati, devono permettere ai consumatori di riconoscere la natura pubblicitaria dei post e non influenzare slealmente i rapporti concorrenziali tra imprese.

Se vuoi approfondire il tema delle regole sull’influencer marketing in Italia, puoi leggere questo articolo .

 

Facci sapere se possiamo esserti d’aiuto.

 

Ritieni che la tua attività di impresa sia stata danneggiata da comportamenti di concorrenza sleale o dalla pubblicità comparativa o ingannevole?

In questi casi, puoi:

– agire davanti al  Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria e richiedere l’eliminazione della pubblicità ritenuta ingannevole o illecitamente comparativa;

– rivolgerti al Giudice Ordinario ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per ottenere un provvedimento urgente di inibizione della concorrenza sleale mediante illecito pubblicitario e avere riconosciuto l’eventuale diritto al risarcimento o indennizzo.

 

Se hai bisogno di assistenza legale, contattaci per una consulenza.

 

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La Cassazione, con ordinanza numero 34889/2023, si è pronunciata a favore della nullità del tasso di interesse per i mutui, i leasing, i finanziamenti ed i contratti di credito che sono stati definiti sulla base dell'Euribor, segnatamente per un periodo specifico (tra il 2005 e il 2008) in cui si è verificata una manipolazione dell'indice, accertata dalla Commissione Europea. I mutui a tasso Euribor prevedono un interesse variabile che viene calcolato in base all’Euribor (Euro Interbank Offered Rate). Si tratta del tasso medio di interesse al quale le banche europee si prestano denaro tra loro. Esso viene determinato quotidianamente e può variare in base alle condizioni economiche, influenzando direttamente i rapporti di credito con le banche Quando si sceglie un mutuo a tasso variabile basato sull’Euribor, significa che il tasso di interesse del mutuo si adeguerà periodicamente in base all’andamento di questo indice. Se l’Euribor aumenta, anche il tasso di interesse del mutuo e quindi la rata mensile aumenteranno; se l’Euribor diminuisce, avverrà il contrario. Nel 2013 la Commissione Europea ha accertato una manipolazione di tale indice avvenuta tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008. In pratica alcune fra le principali banche europee (Barclays Bank, Deutsche Bank, Société Générale e Royal Bank of Scotland) si erano accordate per alterare i tassi di interesse; anche altre banche, estranee all’accordo, utilizzarono quel parametro di riferimento manipolato. La Cassazione ha evidenziato che la nullità non è limitata solo ai contratti stipulati con le banche direttamente coinvolte nella manipolazione dell'Euribor, ma si estende a tutti i contratti che hanno utilizzato questo indice per calcolare gli interessi. Sulla base dell’ordinanza è quindi possibile agire per riottenere il ricalcolo degli interessi pagati per tale periodo ed il rimborso delle somme. Se hai stipulato un contratto a tasso Euribor che include il periodo 2005-2008 e vuoi saperne di più, è possibile scrivere a segreteria@palmigiano.com
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